INTERROGAZIONE - Asili nido: si può davvero parlare di conciliabilità famiglia/lavoro per tutti?

È di recente notizia il fatto che sebbene gli asili nido abbiano aumentato i posti disponibili il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia rimasto pressoché invariato. Le ipotesi sul perché le donne non tornino a lavorare sono svariate, se in passato si pensava che fosse dovuto alla mancanza di offerta di adeguate strutture di cura degli infanti, analizzando i dati attuali c’è chi si chiede se forse le donne semplicemente non hanno voglia di tornare a lavorare.

Chi scrive si domanda invece se al posto di parlare di mancanza di voglia di tornare a lavorare, non si dovrebbe piuttosto parlare di condizioni e dell’effettiva garanzia che il sistema offre, alle donne in particolare, per conciliare famiglia e lavoro.

Il Cantone, come noto, sussidia ampiamente le spese educative contribuendo nella misura del 55-66% e, come ricordato nell’articolo apparso sulla Domenica del Corriere lo scorso 26.02.2023, le famiglie possono arrivare a pagare anche solo CHF 400/500 al mese per affidare il proprio figlio a strutture di custodia extrafamiliare. Non solo. Le famiglie che beneficiano di una riduzione del premio cassa malati ricevono una riduzione della retta, dedotto il sussidio universale, del 33%, mentre le famiglie che beneficiano di un assegno di prima infanzia ricevono un contributo che equivale alla totalità della retta (esclusi i pasti). Insomma, di aiuti e sussidi ve ne sono soprattutto per le fasce al beneficio già di diversi aiuti sociali.

Ma se da un lato è vero che le rette possono essere anche basse, quasi irrisorie, per favorire le famiglie bisognose, è altresì vero dall’altro che si è diffusa la prassi “chi più guadagna più paga”. Ma vediamo come si traduce in soldoni questo principio (di seguito solo un paio di esempi anche perché non tutti i tariffari sono pubblicati):

·         all’asilo nido comunale di Mendrisio una coppia con un reddito fino a CHF 62'000.00 pagherebbe una retta mensile di CHF 420.00 (pasti esclusi), mentre una coppia che ne guadagna CHF 200'000.00 ne pagherebbe una non duplicata, neanche triplicata o quadruplicata, bensì settuplicata di CHF 2'940.00 (sempre con pasti esclusi).  Chi scrive ritiene che la differenza, non certo irrisoria, possa spingere donne formate, ma anche donne il cui marito o compagno percepisce un certo reddito, a non riprendere la propria attività lavorativa che andrebbe, quasi integralmente, a coprire i costi della presa a carico del figlio da parte di terzi rispettivamente a coprire i costi direttamente collegati alla ripresa lavorativa (trasferte, pasti, etc.). Anche perché non va certo dimenticato che la donna si trova – in ogni caso – a dover decidere se vale la pena rinunciare al tempo con il proprio figlio per guadagnare al massimo un paio di mille franchi, rispettivamente a chiedersi se prediligendo la ripresa lavorativa sta davvero facendo il bene del figlio;

·         per fare un altro esempio possiamo guardare il tariffario dei nidi d’infanzia LIS (Lugano Istituti Sociali); la tariffa massima giornaliera – che si arriva a pagare “solo” con redditi da CHF 300'000.00 – è di CHF 114.00, ossia di CHF 2'394.00 mensili.

E se per ipotesi una donna di queste famiglie benestanti decidesse di riprendere un’attività lavorativa al 50% per dedicare comunque del tempo al proprio figlio non si vedrebbe diminuire proporzionalmente – e quindi dimezzare – la tassa, ma ne dovrebbe pagare quasi due terzi a fronte di uno stipendio dimezzato. Inutile dire che il dilemma “vale la pena rinunciare al tempo con mio figlio per un paio di mille franchi?” tornerebbe e forse non si arriverebbe neanche più a parlare di “un paio di mille franchi”. E comunque se lo scopo degli asili nido dev’essere quello della conciliabilità tra famiglia (qualunque famiglia) e lavoro (qualunque lavoro), questa conciliabilità dovrebbe valere per tutte le donne, indipendentemente dalla professione per cui hanno studiato e si sono formate non senza sacrifici. Si tratta forse di tener conto che forse il contributo alla società e al gettito fiscale cantonale è dato anche da queste donne.

Ebbene in tali circostanze ciò che davvero bisogna chiedersi è se questo sistema non tenda ad avere un effetto controproducente sul mercato del lavoro femminile rispettivamente se lo stesso non sia dissuasivo, quantomeno in relazione a una parte di popolazione segnatamente le fasce medio alte e più abbienti. Non dimentichiamo che per parte di queste donne sia loro, ma anche lo Stato, ha investito non poco per potersi formare e se la scelta di stare a casa con i figli è dettata da una mancanza di effettiva conciliabilità famiglia / lavoro sarebbe un vero peccato. Ad ogni modo anche per i redditi medio bassi il rischio è che si preferisca far due conti e restare a casa beneficiando di aiuti di Stato invece che rientrare al lavoro fosse anche a tempo parziale ma raggiungere un reddito disponibile che potrebbe far saltare detti aiuti.

 

Tutto ciò premesso si chiede al Governo di voler rispondere alle seguenti domande:

1.       Non ritiene che la prassi in materia di redditi tenda a dissuadere le donne formate e provenienti da famiglie benestanti ad optare per una ripresa lavorativa?

2.       Non ritiene che la prassi in materia di redditi sviluppatasi tenda a conciliare famiglia e lavoro solo per una parte di popolazione?

3.       Il fatto che le tariffe per il tempo parziale non siano proporzionalmente ridotte non rischia di scontrarsi con il principio “conciliabilità famiglia/lavoro”?

4.       In conclusione, non si ritiene che lo scopo della normativa, non venga ossequiato creando disparità fondate sul mero reddito a scapito di altri fattori altrettanto meritevoli per una politica a favore delle donne, madri e professioniste?

 

 

Matteo Quadranti, Michela Ris, Natalia Ferrara

Michela Ris